sabato 20 aprile 2013

SUICIDIO DEMOCRATICO

La morte di Berlinguer ha rappresentato l’ apice del consenso raccoltosi attorno al partito storico della sinistra italiana. La morte fisica del suo leader ha simbolicamente inaugurato la lunga agonia del partito che si chiamava comunista. Una trentennale agonia squassata da tanti colpi di coda, da tanti scatti d’orgoglio, da tante speranze e illusioni. Un’agonia calda, pulsante e dolorosa, nutrita anche in queste ore dalla fatica, dedizione ed amarezza di tanti militanti ed amministratori che ce l’hanno messa tutta per dare nuova linfa ad un partito che oggi, stremato ed impazzito, ha deciso di togliersi la vita.





Molte le pugnalate che il PD si era auto inferto fino ad oggi, ma la pervicacia suicida con la quale si è accanito contro sé stesso negli ultimi giorni della sua esistenza lascia sgomenti. Come se non ne potesse più di perdere elezioni già vinte, di avere tante posizioni quante le assemblee di condominio del quartiere Prenestino, di cambiarsi il nome verso semantiche sempre più innocue, annacquate, eteree, il Pd a un certo momento ha deciso di aprire il fuoco contro il suo stesso corpo, inteso non solo – ma anche - come corpo elettorale.
Dopo aver cercato, fino quasi all’ umiliazione, l’accordo di governo con il Movimento 5 Stelle senza trovarlo,  la gente che vota e sostiene Grillo ha offerto al PD un assist gigante, una palla solo da spingere in porta: ha indicato come candidato al Quirinale Stefano Rodotà.
Non mi sovviene una personalità politica più vicina al PD e nello stesso tempo più autorevole verso l’esterno. Infatti Rodotà è stato anche Presidente del PDS, ma è stato sostenitore di battaglie civili come quelle contro la privatizzazione dei Beni Comuni; ha studiato l’effetto sulla legislazione civile – in particolare quella sulla privacy – delle nuove forme di comunicazione sociale e liquida. Un ottantenne che nell’immaginario politico fa la figura di un ragazzo: curioso, appassionato e non compromesso. Grillo – che per la foga da Savonarola scazza spesso le uscite -  lo aveva accusato di rubare il superstipendio da Garante della Privacy. Ma quando la gente di Grillo, la sua gente ha candidato Rodotà a Capo dello Stato ha dovuto rimangiarsi l’insulto.



Non solo. Ad un certo punto Grillo dice una cosa impensabile fino a pochi giorni prima: se il PD vota Rodotà assieme a noi, si aprono delle praterie per il governo.
C’era solo da spingerlo in porta quel pallone. Il PD, attraverso il suo incredibile segretario, decide allora di prendere la palla che balla sulla linea di porta avversaria e comincia a correre con essa verso centrocampo, per allontanarsi a gambe levate dalla possibilità di vincere qualcosa.  E candida Marini assieme a Berlusconi. Naturalmente Marini viene trombato, perché Marini è come una pacca nell’acqua, oltre ad essere un vecchio sindacalista cislino ricopertosi d’oro al punto da comprarsi una casa di lusso nel centro di Roma – a sconto, peraltro.
Allora Bersani decide di tirarsi una sventagliata di mitra sui genitali: proponiamo Romano Prodi. Tutti tranne Rodotà – così per ripicca, perché l’hanno proposto i grillini, perché noi siamo noi e voi non siete un cazzo – ma soprattutto, tra i tutti, Romano Prodi. Per fare cosa? Per farlo impallinare da Massimo D’Alema, che lo odia, e da quella parte del PD che vorrebbe Rodotà.
A questo punto Bersani annuncia le dimissioni. E qui sta il capolavoro: anche da fantasma, da zombi politico riesce a sparare a quello che ancora si muove dopo la strage, e costringe Napolitano a disfare gli scatoloni per fargli fare un governissimo con Berlusconi. Esattamente l’incubo di quelle persone che lo hanno votato. Esattamente quello che aveva spergiurato come impossibile, osceno.


Osceno è l’aggettivo. Un osceno, ridicolo suicidio. Anche in questo sta l’inciucio: nel rendere entrambe le parti altrettanto oscene e ridicole.   

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