venerdì 28 dicembre 2012

DON PIERO IL CALIFFO DI LERICI

Finalmente!  Basta con le migliaia di anni di guerre pie e sante combattute in nome della rasatura al suolo degli infedeli, di quelli che credono in un dio minore, non rivelato, impostore; basta con le Crociate coloniali di eserciti che, nel nome di Cristo, soffocavano nel sangue la presunta invasione musulmana del mondo; basta con le jihad proclamate dai califfi e imam, esegeti autentici della parola del Corano contro l’Occidente cristianizzato e corrotto, che armano le anime di giovani suicidi bombaroli islamici forniti di brillanti curricula universitari ad Harvard.


Finalmente un uomo ha riunito sotto un comune denominatore le religioni rivelate. Finalmente un uomo ha messo d’accordo bigotti  e stupratori di ogni risma, religione e colore, rendendo anacronistica ogni contesa bellica per la preminenza dell’Islam sulla Cristianità o, viceversa, ogni evangelizzazione forzosa nel nome del Padre. Quest’uomo ha l’inestimabile merito di avere finalmente riunito dentro lo stesso alveo le grandi tradizioni affluenti della fede umana, mai incontratesi ed anzi sempre ottusamente combattutesi . La grandezza di quest’uomo sta nell’aver mostrato, con l’evidenza di una rivelazione, la radice comune alle due grandi religioni – una comune radice talmente evidente da non essere colta, come quando cerchi in tutti gli anfratti e i nascondigli, senza trovarla, una cosa che hai lì, davanti al naso: il disprezzo per la donna.       
Don Piero, parroco di San Terenzo, ha detto e scritto sulla porta della sua Chiesa che le donne che vengono violentate ed ammazzate se la sono cercata. Le sgualdrine vanno in giro praticamente nude, per cui non si possono lamentare se poi l’uomo le stupra o le fa fuori. L’uomo, beninteso, non l’omo, come quel giornalista che, chiedendo a  Don Piero il Califfo di precisare il suo pensiero, se l’è cercata come le sgualdrine: e si è beccato del frocio. Tecnicamente l’ uomo che, alla vista di una donna succinta, non nutre pensieri omicidi.
Don Piero il Califfo si è difeso dicendo che le sue idee non sono sue – affermazione di modestia che non fa che accrescerne la grandezza. In realtà lui non ha fatto che citare le tesi di Pontifex, un autorevole sito di cattolicesimo col cilicio hardcore. Ci sono andato, sul sito Pontifex: non riuscivo più ad uscirne. Ad un certo punto ho attivato sul pc la procedura per chiudere i programmi: si sono chiusi tutti, tranne Pontifex, che anzi fagocitava le altre pagine. Ho dovuto spegnere. Un fulgido esempio di integralismo liquido: se entri in me non uscirai più, neanche se vuoi.
Il capolavoro finale della Chiesa, che la prepara ad un’inopinata fusione con la fintamente ostile tradizione islamica, è la sua attuale ignavia. E’ Don Piero il Califfo che deciderà del suo destino: di sé dice di avere forse bisogno di riposo, ma che non smetterà l’abito talare.  Lo aspettiamo in politica: sempre se deciderà di spretarsi. Sua sponte, naturalmente.

martedì 11 dicembre 2012

L'ENERGIA DEL PADRE E LA RESA DEGLI INSEGNANTI





Lo stato di salute presente e prossimo venturo della propria nazione si misura bene, a mio avviso, dallo stato della sua pubblica istruzione.
Mio figlio frequenta il liceo. Ha qualche problemino ma complessivamente va benino. La sua carriera scolastica attuale può riassumersi, in effetti, dentro il suono odioso di un diminutivo: benino. Eppure la sua multiforme intelligenza sarebbe pronta ad esplodere, se solo trovasse una miccia. Sotto questo profilo l’energia del padre(e della madre)può fare qualcosa, diciamo: qualcosina. Ma per varie ragioni, tra cui il fatto di essere il padre nell’età in cui il padre si abbatte o comunque si combatte, il padre non può essere la miccia. La miccia può essere un professore. Un docente, un educatore. Uno, o una, che avesse l’energia di trascinarti dentro il gorgo della sua materia, al punto da farti assaporare per la prima volta il gusto del sacrificio, necessario per grattare la superficie opportunistica del voto sufficiente o scuotere l’indolenza del tedio.
Non ne ho trovato uno. Sono un illuso? Di sicuro, sono un deluso. Alcuni sono tecnicamente padroni della materia e tanto gli basta, altri sono severi come sempre sono stati e sempre saranno, altri pretendono un impegno che non restituiscono ed altri ancora si sforzano di spiegare un paio di volte, sempre allo stesso modo, qualcosa che lo studente ha detto di non avere capito – lo dice due volte, peraltro, perché dalla terza volta l’incarico di spiegarlo viene affidato a qualche compagno bravo, che minaccia il compagno tonto: zitto e taci, non ho più voglia di uscire fuori per colpa tua.
Quello che non ho trovato è la passione. Pretendo troppo, dite? Pretendo troppo da una categoria di professionisti sottopagati, precarizzati, non formati e non premiati? Può essere. In realtà una l’ho trovata, e le ho chiesto di usare l’intelligenza emotiva per parlare coi ragazzi, ma anche con i suoi colleghi, che mi sono sembrati spaventosamente arresi. Mi ha detto che ci proverà, ma che non posso pretendere che un docente insegni ad un ragazzo quello che la scuola non ha mai insegnato a lui: la pedagogia, l’empatia. I professori sono laureati in una materia, stop. Questo sono, mi ha detto con disarmante naturalezza, come enunciando una legge fisica. E lei? Le ho chiesto. Io mi sono formata da sola, mi ha risposto.
Anch’io sono andato al liceo. Non è stata una passeggiata e non mi ha salvato(anzi) da un anno buono di depressione, e non cadrò nella trappola di dire che trent’anni fa era meglio, perché è un discorso nostalgico da persona anziana, ed io non voglio essere una persona anziana. Però mi ricordo, in mezzo a molta mediocrità, anche di una manciata di docenti imperfetti, umani troppo umani, pieni di simpatie ed antipatie ma genuinamente appassionati, a volte ossessionati, dalla loro materia, fino al punto da farmene appassionare, o addirittura ossessionare.  Nessuno gli aveva insegnato la pedagogia, a questo manipolo di pazzi che hanno segnato la mia adolescenza. Adesso non ne vedo in giro, di pazzi come questi. Se però ne conoscete qualcuno, presentatemelo. Io e mio figlio ne avremmo un gran bisogno.

lunedì 10 dicembre 2012

Crisalide: storie dentro la crisi

Condivido (link sotto) il post di Cinzia Cavallaro, che come me ed altri 11 scrittori ha interpretato a modo suo il tema della crisi popolando di parole "Crisalide", la raccolta uscita per Draw Up Edizioni e che ha anche una omonima appendice aperta su Facebook:

http://www.wordsinprogress.it/2012/12/crisalide/





Oltre al piacere di aver condiviso con tutti i narratori le stesse pagine, mi permetto una speciale menzione ad Alessandro Vizzino (http://www.alessandrovizzino.it/), scrittore ed editore engagé; Ciro Pinto, anima dell'iniziativa; Giovanni Garufi Bozza (http://giovannigarufibozza.wordpress.com/tag/giovanni-garufi-bozza/), scrittore e animatore radiofonico.

sabato 24 novembre 2012

PRODUTTIVITA' MON AMOUR


Non fidatevi dei riassunti, né di quello che scrivo io. Leggete l’accordo con i vostri occhi. Serve a capire tante cose. Ecco un link:
Letto? Bene. Ecco cosa ne penso io.
Prima di tutto, la lingua in cui è scritto. Una lingua involuta, lecchina, con periodi lunghissimi pieni di rimandi oscuri, sinistri, travestiti da “modernizzazione”. La sostanza è nascosta, con una certa vigliaccheria, dietro questo burocratese ministeriale.
Il contratto nazionale non serve più. Cos’è tutto questo egualitarismo, questa  mania di voler salvaguardare il potere di acquisto reale degli stipendi. Se lavori in un’azienda che produce “produttività”, una parte consistente del tuo stipendio sarà tassata poco, quindi il tuo netto in busta sarà più alto. Se la tua azienda non produce valore aggiunto rispetto al lavoro impiegato, il tuo stipendio scivolerà verso il basso.
Alcune osservazioni. L’accordo è firmato tra le parti sociali, non è cofirmato dal Governo. Quindi la detassazione del salario di “produttività” di cui si parla è solo un auspicio, ma facciamo finta che il Governo detassi il salario variabile. Di quanto lo detasserà, e con che limiti? Quelli previsti dalla legge 247 del 2007, richiamata in questo accordo. La detassazione potrà riguardare al massimo la retribuzione variabile che non superi il 5% della retribuzione contrattuale. Il cinque per cento. Quindi, per capirci: se anche la retribuzione variabile(incerta nel se e nel quanto)dovesse essere pari al 30% dello stipendio, la detassazione potrà al massimo riguardare il 5% sul totale dello stipendio percepito. E quali lavoratori sarebbero beneficiari di questa elemosina (visto le percentuali, non mi viene da chiamarla diversamente)? Attualmente circa il 30% dei lavoratori dipendenti: infatti, solo 3 lavoratori su 10 ad oggi hanno il contratto integrativo, o aziendale.





Ancora: nella attuale situazione di crisi profondissima, quante sono, secondo voi, le aziende che potranno permettersi di erogare un salario di produttività ai loro dipendenti? Risposta: siccome parliamo di costo del lavoro per unità di prodotto, saranno quelle aziende che sostituiranno personale con tecnologia. Cioè, quelle che licenzieranno(adesso licenziare è diventato un puro costo d’azienda, grazie alla dinamica ministra Fornero).  Aggiungiamoci  l’apertura sui controlli a distanza della privacy di chi lavora e abbiamo il quadro di un accordo che non mi stupisce Confindustria abbia firmato volentieri. Quello che mi stupisce è che abbia trovato una controparte sindacale che lo firmasse. Invece ha trovato tutti d’accordo, eccetto la CGIL – peraltro, quella che ha più iscritti. La quale CGIL ha fatto un’osservazione elementare: se, in nome della crisi, dobbiamo accettare questo smottamento, questa frana dei diritti, che almeno il Governo, per dimostrare la reale volontà di fare quanto auspicato (dagli altri), detassi le tredicesime in arrivo, lasci qualche decina di euro in più nelle tasche della gente. Risposta: non se ne parla nemmeno.
Riassumendo: si accetta di abolire nella sostanza la tenuta del potere d’acquisto degli stipendi trasformando una buona parte del salario in variabile dipendente dalla “produttività” in Azienda; come arrivarci, a questa produttività – impresa quantomeno da lacrime e sangue in un periodo di crisi come l’attuale – lo decide il padrone. Si instaura così una fantastica forma di neo-cogestione all’italiana: il lavoratore non decide nulla, ma se il padrone  prestigiatore riesce a far saltar fuori un premio arriverà forse allo stipendio di prima(se non è stato licenziato); se la magia non riesce cazzi suoi, prenderà meno soldi di adesso.
Dentro l’accordo si ciancia di “valorizzare la contrattazione di secondo livello”. Ecco, visto che la contrattazione di primo livello diventa superflua, facciamo diventare superflue quelle segreterie nazionali lì, che di solito siedono al tavolo dei contratti nazionali. Perché così tante persone continuino a mantenere con una quota del proprio stipendio oligarchie che,  approfittando della libertà di mandato, svendono i loro diritti, resta per me un mistero.

domenica 11 novembre 2012

ENERGIA DEL PADRE A RADIOVORTICE

Radio Vortice è una web radio che compie un interessante e ben confezionato lavoro di approfondimento sulla nuova narrativa. Di seguito, il link(che trovate anche nella sezione "multimedia")dell'intervista fattami su "L'energia del padre" e sul mio racconto contenuto nell'antologia "Crisalide"(Edizioni Draw Up), appena uscita:
http://www.radiovortice.it/?p=2153





Ed ecco la copertina di Crisalide:




Buon ascolto


domenica 14 ottobre 2012

GAY CLOCKWORK ORANGE

Un amico che mi aiuta spesso a far lavorare il cervello mi ha segnalato una notizia: la California è il primo Stato americano ad aver di recente bandito la “terapia riparativa” degli omosessuali. Vuol dire che tutti gli altri Stati continuano a finanziare protocolli di cura dell’omosessualità.
Non esiste un’ unica modalità di questa “terapia”. Ve ne sono molte, alcune più blande, altre decisamente screziate di tortura: bobine incandescenti di rame ai polsi, aghi sotto le unghie elettrificati ed associati ad immagini di rapporti omosessuali, roba così.
Anche a voi viene in mente la terapia di Alex? Alex è il protagonista di Arancia Meccanica: bastona, stupra ed ammazza a titolo gratuito, sulle note di Rossini e Beethoven. Un criminale per scelta, senza alcuna giustificazione sociale. Per avere la meglio sul suo criminale libero arbitrio, lo Stato decide di curarlo con la “terapia dell’avversione”: gli viene dato un farmaco che gli induce una nausea estrema,  ed alla somministrazione viene associata la visione forzata di scene violente sulle note di Beethoven. Al termine della cura, Alex diventa un mansueto animale domestico dalla fiera selvaggia che era. Il suo malvagio libero arbitrio è stato chimicamente castrato.
Anthony Burgess, lo scrittore di Arancia Meccanica(per non dire di Kubrick, che ne ha tratto una celeberrima pellicola)scrive e ribadisce di inorridire alla prospettiva di uno Stato che, per combattere il Male, congela il libero arbitrio delle persone. La rappresentazione critica  che esce da queste opere d’arte è quella di uno Stato genuinamente e scientemente totalitario. E’ un tema impegnativo e disturbante, sul quale si possono legittimamente avere opinioni opposte. Sui due piatti della bilancia, infatti, ci sono beni essenziali da preservare secondo il diritto naturale: sopra un piatto, la necessità di difendere il consorzio umano dalla violenza gratuita ed estrema; sopra l’altro piatto, il diritto dell’essere umano alla libera scelta, che contempla anche la scelta del male.





La “terapia riparativa” dell’omosessualità – così chiamata in quanto postula che la preferenza sessuale “omo” sia frutto di un danno perpetrato nell’infanzia da una dinamica genitoriale malata, danno appunto da riparare -  sostiene di essere utile perché cura una sofferenza: quella dell’individuo “egodistonico”, che sarebbe una persona che soffre per una omosessualità non in sintonia con la sua vera natura; insomma un omosessuale che vorrebbe essere eterosessuale, e che quindi va aiutato a diventarlo.
Boh. Ci avete capito qualcosa? Io ho capito questo: su un piatto della bilancia c’è il diritto dell’essere umano alla libertà dell’orientamento sessuale; sull’altro piatto c’è(ci sarebbe) il diritto dello stesso essere umano a non soffrire per questa libertà.
Non ci sentite qualcosa che stride? Anzitutto: chi è che decide che questa persona sta soffrendo? E se soffre per ragioni che hanno a che vedere con il suo orientamento sessuale,  come si fa a sapere quali sono? Non potrebbe essere che la sua sofferenza abbia a che fare con la durezza di dover celare, per ragioni sociali e culturali, qualcosa che si vorrebbe vivere in serenità?
Se chiediamo al pugile Orlando Cruz, al sex symbol Ricky Martin, al cantante Tiziano Ferro  di spiegare perché ci hanno messo tanto a “confessare” , quale pensate possa essere la loro risposta? Volevo tanto essere etero ma purtroppo sono gay?
Non voglio approfondire come, non nell’integralismo religioso o nell’ignoranza dell’incultura di massa, ma nella psichiatria, che di sé dice di essere una disciplina scientifica, abbia potuto farsi largamente strada la teoria dell’omosessualità come patologia. Una patologia altera lo stato di salute di una persona, oppure altera lo stato di salute di chi subisce qualcosa ad opera del “malato”. Mi sfugge come un libero orientamento sessuale possa alterare uno stato di salute in uno di questi due sensi.
Mi pongo invece questa domanda: quale è l’interesse posto sull’altro piatto della bilancia che giustifica la possibilità di “riparare” l’orientamento sessuale? Ci deve essere, questo interesse, se tuttora  la quasi totalità degli Stati della Confederazione degli Stati Uniti d’America(secondo un luogo comune, il Paese delle libertà civili) spendono soldi e risorse umane e scientifiche per apprestare protocolli di cura dell’omosessualità – protocolli, sia detto per inciso, che si rivolgono ai bambini o agli adolescenti, destinatari loro malgrado di atti di disposizione del proprio corpo disposti dai loro genitori con la complicità di alcuni medici.
Ripeto: quale è questo interesse? Dove sta il male, la violenza, la sopraffazione, l’oppressione, la sottomissione, la prepotenza; dove sta il crimine nel fatto di avere un orientamento sessuale diverso da quello della maggioranza delle persone?
Tornando al parallelismo con Arancia Meccanica: in questo caso l’interesse alla preservazione del genere umano dal Male non sussiste. Quindi rimane solo un piatto della bilancia, sopra il quale campeggia l’interesse a  “curare” gli orientamenti privati ed intimi delle persone. Un interesse tipico di uno Stato totalitario.



martedì 21 agosto 2012

IN MORTE DELL' EDITORIA

Non sono abituato a parlare di qualcosa che non mi piace. Preferisco parlare di quello che mi piace. L’esercizio della denigrazione richiede una certa misura, altrimenti suona come una pratica di pura frustrazione, oltre a regalare pubblicità gratuita alla cosa detestata.
Per questo è con una certa titubanza che spendo qualche riga per parlare dell’ attuale “industria” editoriale e dei suoi derivati.
Mandi un testo e nessuno ti risponde. Ripeto, nessuno. Facesse pena, capirei. Possibile, per carità, ma non è quello il problema. Per ricevere una diagnosi del genere bisogna che qualcuno lo legga, il testo.  Invece non lo legge nessuno. Eppure il web è foderato di editori e servizi di lettura, valutazione, editing. Tutti a pagamento, dal primo al quarto. Recensori, editors ce ne sono che ti rispondono, anche rapidamente. Curiosamente la loro recensione del testo consiste in una perifrasi della tua sinossi, oppure in una rielaborazione delle prime dieci pagine. E ti pubblicano o ti recensiscono, se paghi tu. In anticipo, ovviamente. I più fantastici sono quelli che ti dichiarano, con l’aria di chi ha schifo di uno straccio sporco, di non recensire opere edite a pagamento.  Se passi il vaglio perché il tuo editore non è nella lista nera, ti chiedono loro 200 euro per parlare della tua opera. Forse ragionano bene, però: se hai già speso soldi per pubblicare il tuo libro non ne hai più per pagare loro.
Per carità, ci sono anche gli editori con una reputazione che riempiono le vetrine delle librerie coi loro titoli: storie di serial killer scandinavi, monasteri e trafficoni col cilicio, vampiri e casalinghe che fantasticano di farsi sbattere da un miliardario giovane e bello.

Per accedere ad uno di questi editori devi essere figlio, fratello o moglie o amante(anche occasionale) o qualcosa di molto simile del socio finanziatore. Oppure devi essere Pupo.  
Oppure, dicono, devi partecipare ad un concorso letterario. E possibilmente vincerlo. Uno dei modi puliti per uscire dall'anonimato. Io ne ho fatti un paio.  A pagamento, naturale. Quello che ha vinto, con lo stesso libro ne aveva vinto un altro l’anno prima. Giuro. Per la cronaca, peraltro, nessun editore con una reputazione gli ha editato il testo – lì non ho potuto dar loro torto, almeno stando alla paginetta del romanzo vincitore che sono riuscito a leggere su internet.
Lo so, ho fatto di tutte le erbe un fascio. Mi serviva come espediente retorico – mi perdoneranno i capaci e limpidi di ogni categoria, gli Eraldo Baldini, gli Stefano Santarsiere, le Daniela Domenici, i Luciano Sartirana. Tuttavia quando la media delle esperienze è così statisticamente prossima a questa rappresentazione estrema, ritengo(ed auspico) che la scomparsa dell’editore del ventesimo secolo sia solo questione di (poco) tempo. E non solo perché siamo già nel ventunesimo, di secolo, ma anche perché il suo ruolo di selezione ed educazione culturale è divenuto talmente residuale da essere sostanzialmente impercettibile.
Non avrei mai pensato di inneggiare ad una spietata corporation, ma piuttosto che questa roba, evviva l’autopubblicazione digitale con Amazon.  

mercoledì 8 agosto 2012

ALEX SCHWAZER, O DELL'IPOCRISIA E CRUDELTA' DELLA RAZZA UMANA

Alex Schwazer è assurto al ruolo di eroe tragico. La sua scelta autolesionista, che non vedeva l’ora di confessare, lo rende un uomo normale  ma anche un carattere perfetto per Georges Simenon o Albert Camus, magistrali nel narrare la genesi delle scelleratezze che maturano lente, implacabili nell’animo umano.  Chiunque abbia praticato uno sport agonistico comprende bene quali possano essere le ragioni che hanno condotto Alex a gettarsi a capofitto nell’abisso: dolore(anche fisico), esaurimento nervoso, nausea, angoscia da prestazione alimentata dalle enormi aspettative di sponsor, federazioni, burocrati che costruiscono rendite di potere sulle vittorie sportive. Queste sono le cose che gli atleti vi direbbero in privato. Altre – non capisco come abbia potuto eccetera eccetera… - sono le cose che dichiarano in pubblico(non sono mica scemi), ai cosiddetti giornalisti sportivi alla ricerca dello sportivo specchiato che infama l’imbroglione, il traditore. Per questa gentaglia, scribacchina o meno, un pietro maso o un fabrizio corona sono infinitamente meno disprezzabili: per certuni addirittura meritevoli di gossip, culto della personalità, letterine in carcere.  Non so se la meritiamo, ma questa è la feccia che forma la pubblica opinione - per inciso, umanoidi che non hanno mai praticato uno sport in vita loro. 

L’atleta di razza ha dentro un demone ancestrale. Questo demone non lo rende per forza un superuomo, un uomo forte. L’agonismo può mangiarti il fegato e farti diventare suo schiavo, può renderti profondamente fragile. Chiunque sia stato realmente divorato da una passione sa di cosa parlo: resistere alla tentazione di prendere delle scorciatoie o di aiutarsi con qualcosa, insomma, di giocare sporco come fanno tanti tuoi rivali, può essere molto difficile.  In fondo la vita è questa: giochi la tua partita e incappi quasi sempre in qualcuno che non ha il tuo talento, ma che ti passa davanti.
Non ha ammazzato nessuno, tranne sé stesso: a parte la gratuita crudeltà degli scribacchini e l’ipocrita indignazione della Federazione, ridicolo e francamente sgradevole mi è parso anche l’accesso di bile del suo allenatore.  Ma allora qual è l’imperdonabile delitto del quale si è macchiato Alex Schwazer?
Semplice. Si è fatto beccare. Se non si fosse fatto beccare e avesse vinto, sarebbe un eroe.  Il disprezzo per lui è disprezzo per la sua perdente dabbenaggine, che diventa scherno per il suo rimorso. Spero che i suoi cari gli stiano accanto. 

martedì 26 giugno 2012

PIRLO E PIRLA

Non sono passate 48 ore e il cucchiaio di Pirlo è già diventato un archetipo.  Un esempio di follia artistica, calcolo(come può una follia contenere un calcolo?)ma soprattutto un formidabile saggio di psicologia collettiva.
L’Italia domina in lungo e in largo l’Inghilterra per 120 minuti, rivoltandola come un calzino, stropicciandola e stirandola. Un piccolo particolare: in questi 120 minuti di dominio territoriale, tattico e tecnico (quasi) assoluto, non riesce a segnare un solo gol. L’esito della gara deve quindi essere affidato alla cosiddetta lotteria dei calci di rigore. Una lotteria alla quale gli inglesi arrivano con il cuore leggero, consapevoli come sono di non avere nulla da perdere, perché la partita l’hanno già strapersa sul campo, ma senza uscire sconfitti – perché il calcio è un gioco bastardo, e l’Italia di questa bastardaggine ha profittato più di una volta.
Tutti sanno che queste sono le condizioni ideali per decretare la vittoria ai rigori di Davide contro Golia, o comunque della squadra che è arrivata fin lì scampandola bella per tutta la dannata partita. E’ successo tante di quelle volte. Una a nostro favore, eclatante: Olanda-Italia, Europei del 2000. Ci hanno preso a pallate per 120 minuti e alla fine abbiamo vinto noi ai rigori, in casa loro, e si vedeva già dalla faccia dei giocatori che avremmo vinto noi.  Loro atterriti, schiacciati dal peso della responsabilità di non avercela fatta. Noi leggeri,  irridenti e scanzonati come dei ragazzini che l’hanno fatta franca.
Torniamo a Inghilterra-Italia. Dopo due rigori siamo già sotto di uno, naturalmente. Il nostro secondo tiratore la butta fuori. Il portiere inglese è carico come una mina, si agita e mulina le braccia per disturbare l’avversario, intimidirlo, schernirlo. Quando l’italiano tira, lui si lancia come una scheggia verso un lato della porta, e indovina sempre dove va la palla. Se va avanti così non ne metteremo più uno.  
A questo punto tocca ad Andrea Pirlo. Mentre il portiere albionico scatta già verso la prossima parata, bombato di boria e adrenalina, e noi tutti(giocatori, tifosi, giornalisti e parenti) siamo già sicuri di aver perso, Pirlo sistema il pallone sul dischetto pestando una zolla con aria appena infastidita, per dare soddisfazione all’arbitro che gli ha intimato chissà che stupidaggine, in quel momento.
Non so se avete presente la faccia di Pirlo. Se attorno a lui all’improvviso scoppiasse la terza guerra mondiale, lui alzerebbe impercettibilmente le spalle e continuerebbe a fare quello che ha deciso di fare: tipo un corner a favore del suo portiere o un dribbling uno contro tre nella propria area. Una cosa irragionevole(curioso che lo chiamino il ragioniere), fatta con la solita faccia impassibile e leggermente smaronata di uno che è uscito a buttare la spazzatura.

Pirlo prende una rincorsa breve, indolente, indifferente. Quando arriva sul pallone è come se spingesse un tasto che blocca il tempo, lo sospende per un attimo. Il tempo necessario affinché il portiere albionico si libri in volo. Lui lascia volare sulla destra il figone biondo e con un tocco sotto felpato, assurdo, dirige la palla lentissima al centro della porta, dove anche un bambino, rimasto fermo, l’avrebbe presa. Mentre entra bradipo, centrale, sulla sinistra del pirla in volo, il pallone ha tutto il tempo di voltarsi verso di lui e fargli una puzzetta.




Questa esecuzione dal dischetto non vale uno, vale dieci. Junghianamente l’intero quadro psicologico della vicenda si ribalta. Gli italiani da lividi che erano si scoprono spavaldi ed è come si destassero tutti assieme da un incubo. All’improvviso si chiedono come hanno fatto ad avere così paura di questi pivelli catenacciari che si fanno fregare come dei gonzi. Gli inglesi all’improvviso scoprono che stavano davvero sognando: sognavano di essere furbi, ma scoprono di essere dei coglioni.
Da quel momento tutto cambia. Gli inglesi, acquisita consapevolezza della loro pirlaggine, non beccano più la porta ed io, mentre si avvicina al dischetto, sono matematicamente sicuro che Ashley Cole lo sbaglierà, il rigore e lo dico anche – ho i testimoni. Ad essere sincero non prevedo esattamente tutto, perché anche nel mio immaginario più folle mai avrei pensato che Gianluigi Buffon gliel’avrebbe addirittura bloccato, il tiro.
Adesso ho veramente capito perché Pirlo guadagna uno stipendio così irragionevole. L’irragionevole stipendio di Pirlo è la somma di ogni singola ricevuta fiscale fatta, in qualità di psicoterapeuta, ad ogni singolo giocatore, allenatore, tifoso fisico o televisivo  lì convenuto in quell’istante.  Considerato che parliamo di circa 22 milioni di persone non è nemmeno caro. Di solito prendono minimo 45 euro a cranio.       

giovedì 7 giugno 2012

MAGNITUDO ITALIA

Se la vostra casa avesse bisogno di una sistemata ai tubi e alle guarnizioni idrauliche, una ristrutturata agli intonaci, una ripiastrellatura del bagno, come capita ad una casa non più giovanissima, e doveste chiedere i soldi in prestito per questi lavori – diciamo diecimila euro;
vi verrebbe l’idea di lasciarla marcire e di lanciarvi nell’acquisto di un loft a Manhattan, per il quale dovete chiedere i soldi in prestito, ma questa volta sono duecentomila euro?

Eppure viviamo in un Paese fatto così. Il territorio è friabile, alluvionale, sismico. Un territorio che avrebbe bisogno, lui e le sue costruzioni, di una bella manutenzione. Approfittando del terremoto che sta snervando o uccidendo noi emiliani, i geologi e gli ingegneri dei vari Ordini tornano in televisione a raccontarci che ci sono tutte le possibilità tecniche per manutenere il nostro territorio e le nostre costruzioni, così da evitare di annegare alla prima pioggia intensa e di morire travolti dalla propria casa o chiesa o capannone alla prima scossa sismica. Però c’è un problema: mancano i soldi. Per fare questa manutenzione ordinaria non si trovano i soldi- è questo quello che intendono dire quando tirano fuori la locuzione “volontà politica”.
I famosi diecimila euro.
Un Paese con le pezze al culo, viene da dire. Però è lo stesso paese che ha deciso di fare la TAV, un gigantesco buco nella montagna dentro il quale far passare treni ad alta velocità che ci rendano uno snodo all’avanguardia per il trasporto di merci bla bla bla.
Per la TAV i soldi non ci sono, però si trovano. I famosi duecentomila euro per il loft a Manhattan.

Guardate, il problema non è neanche se un’opera del genere è utile o no. Il problema nasce prima: un Paese che non trova diecimila euro per fare manutenzione ordinaria di casa sua(che nel frattempo imbarca acqua e frana come un castello di carte), può indebitarsi venti volte tanto per vantarsi in giro di possedere una figata di seconda casa?
Se amministrassi così una famiglia mi interdirebbero e nominerebbero un tutore.  Invece gli italiani dovrebbero essere contenti di farsi amministrare da un siffatto padre di famiglia.  Con un’aggravante: oltre a spremerci per finanziare il loft, il buon padre di famiglia metterà un’addizionale sulla benzina – scommettiamo? – per finanziare una ricostruzione post terremoto che costerà, ovviamente, quanto cinquanta manutenzioni ordinarie. E siccome costerà tanto, verrà fatta al risparmio. Tanto il prossimo terremoto chissà quando verrà. Ci penseranno i nostri pronipoti.  Scommettiamo? 


     
   

martedì 22 maggio 2012

L'ENERGIA DELLA TERRA CHE TREMA


Non potevo lasciarmi scappare questo lampo (involontario?) di genio:

Cosa avrà voluto intendere il poeta del cassonetto? Intanto, mi piace pensare che abbia vergato il suo aforisma dopo aver saggiato, come tutti noi ferraresi, l’indifferente potenza distruttiva della terra. Il terremoto. In entrambe le possibili accezioni, infatti, la frase suona bene ed ha un suo perché speciale, dopo un terremoto.
1)La vita è una sola: quanti di noi, dopo essere scampati, bene o male, alla tremenda botta di sabato notte, hanno anche solo per un paio di giorni derubricato i loro problemi quotidiani, la cui dimensione d’un tratto si è fatta misera, modesta, incommensurabile alla spaventosa, possente, devastante dimensione di un problema come la perdita della propria vita, rischiata davvero in quei venti terribili, interminabili secondi?
E allora abbiamo all’improvviso riscoperto che la vita, la nostra vita, è una sola –  per chi crede, è una sola la vita terrena: ma poco cambia nel terrore atavico di quei secondi in cui cerchi di portarla a casa, cioè spesso fuori casa, quell’unica vita terrena che ti è stata donata. Quanto è diventata preziosa, degna di essere vissuta, piena di uno stranito sollievo questa vita appena salvata, o risparmiata dal fato.
2)La vita è una sòla: ovvero, la vita è una fregatura , un pacco. Molto peggio che “la vita è un soffio”. Ti sei sbattuto, preoccupato, fatto del tuo meglio, sfiancato per una casa, un lavoro, un futuro per i tuoi figli, e poi arriva un brontolio della terra che ti spazza via, te e la tua misera roba ed i tuoi miseri sogni e progetti, in venti secondi. Che cos’è questa beffa se non una fregatura colossale, la più eclatante delle fregature? Una sòla, appunto.
A seconda del luogo da cui la stiamo guardando oggi – da dentro le mura non troppo diroccate della nostra casa; da presso alle strutture tubolari del nostro capannone imploso, o dalla soglia di una tenda da campo –
preferiremo la prima o la seconda accezione della frase. Personalmente le trovo entrambe piene di senso.

domenica 15 aprile 2012

VACCINI E PAURA


Lo dico subito, a scanso di equivoci: mio figlio è stato vaccinato. Morbillo Parotite Rosolia.
Appartengo a quella maggioranza di genitori che hanno seguito, più o meno pedissequamente, le indicazioni dei pediatri. Del resto, che cosa si deve fare se non si hanno conoscenze specifiche? Se non ci si fida del proprio pediatra…
Qualche giorno fa il Tribunale di Rimini
ha condannato il Ministero della Salute a risarcire i genitori di un bambino divenuto autistico - questa è la tesi medica accolta - a causa di una vaccinazione infantile. Mi colpisce la violenta levata di scudi di parte della comunità scientifica contro questa sentenza, una levata di scudi che ha le caratteristiche di una difesa corporativa, acritica ed interessata. Siamo in un mondo in cui ci sono pesantissimi sospetti sul fatto che, ad esempio, la Merck abbia inoculato attraverso i vaccini altri virus, oltre ai composti di mercurio usati come conservanti, e presenti anche nelle mono dosi . Quando accadono fatti come questi non c’è bisogno di essere paranoici od oscurantisti o nemici della scienza per porsi delle domande. Molti nostri medici ci vogliono acritici, privi di pensiero autonomo. E’ esattamente il contrario di quello che dobbiamo essere. No paranoia, no paura. Proprio per questo, però, non dovremmo essere travolti periodicamente da queste ondate mediatiche di PAURA: Aids, Ebola, Aviaria, Suina...e invece...

Giovanna, la madre di Lorenzo, il bambino de “L’energia del Padre”, è una di queste madri. Una come me, come noi. Anche lei lo vaccina, perché Lorenzo deve avere quello che hanno tutti gli altri bambini. Per lei è una tutela, un modo per difenderlo.  
Di tutti i medici che consulta dopo, quando Lorenzo inizia a manifestare i primi problemi,  ce n’è uno, uno solo, che trova una chiave, che va oltre le risposte standardizzate, che lavora su Lorenzo. Quell’unico medico diventa la sua àncora. Infatti dopo poco se ne va all’estero,  quel medico, dove gli offrono mezzi e prospettive che il suo paese non gli offre. E’ da tempo, ormai, che i migliori se ne vanno dal nostro Paese. E lei perde la sua àncora, e si ritrova sola.
Di seguito alcuni interessanti link x approfondire le conoscenze(e farsi venire molti dubbi, ma è sempre così: solo la “beata” ignoranza produce certezze):




Leggete, documentatevi e fatevi la vostra opinione. Fate domande ai vostri medici, ai medici dei vostri figli. Domande basate su quello che leggete. Sono i vostri figli.      


venerdì 23 marzo 2012

Articolo 18, io ti licenzio

Ero un garantito. Non precario, non a tempo determinato, non a progetto. Se mi licenziavano ingiustamente, potevo ricorrere al giudice. Se avevo ragione, potevo scegliere tra essere riassunto e farmi pagare molti soldi per starmene fuori.
Questo scandaloso privilegio del quale godevo è ora abolito. Finalmente anche io posso sentirmi in pericolo. Finalmente la mia condizione perde quell’assurda sicurezza di poter fare progetti. Finalmente io e mio figlio saremo uguali. Un patto tra le generazioni.  Giusto. Perché io devo sentirmi libero di assistere un genitore malato, di partorire due o tre figli, di difendere un’idea, di lottare per i miei colleghi senza rischiare il posto, quando mio figlio e la gente come lui non possono nemmeno pensare di fare tutte queste cose? Basta con  l’ingiustizia: da una parte un mondo di garantiti che hanno tutto, dall’altra parte un mondo di esclusi che non hanno niente.
E poi basta con questo attaccamento morboso al posto fisso. Nella vita bisogna cambiare. La nostra Azienda è tutto, è più importante della nostra famiglia, dobbiamo esserne innamorati. Però se ci caccia dobbiamo essere felici. Si chiude una porta, si apre un portone.


Giornalisti, economisti, opinionisti: avete ragione. Odiate il posto fisso, ma sono quarant’anni che leggo le vostre firme in calce agli articoli che scrivete, sempre in prima pagina, sempre in televisione, sempre. Ebbene: in nome del Nuovo Magnifico Mercato del Lavoro, io vi licenzio.   

mercoledì 7 marzo 2012

L'ENERGIA DEL PADRE

Se in cuor tuo ritieni di saper fare bene una cosa; se, aldilà di ogni ragionevole dubbio, aldilà dell’indifferenza generale, senti di avere un demone dentro che ti spinge a fare quella cosa, fosse anche pittare un cancello o assemblare ferrovecchio per trasformarli, entrambi, in qualcosa di nuovo e di diverso; se senti che quella è la cosa che sai fare veramente meglio di tutte, meglio degli altri;
Se hai questo, se senti questo, potresti essere un pazzoide egocentrico e delirante privo del senso della realtà(e fin qui non ci sarebbe niente di male) e del ridicolo(e questo sarebbe imperdonabile); oppure, più spesso, potresti avere un talento per quella cosa.
Penso che ognuno di noi abbia il suo talento. Penso che moltissimi non coltivino più, ad un certo punto della vita, il loro talento. Perché? Perché si arrendono: all’indifferenza, alle delusioni, alla stanchezza, all’abitudine. E lasciano che il loro fuoco si spenga. Muoiono prima degli altri, anche se gli capita di vivere a lungo.
Chi lascia morire il proprio talento commette un delitto. Un delitto contro sé stesso, perché lascia morire la parte più viva di sé, e un delitto contro gli altri, perché li priva della bellezza del talento, che illumina come un dono insperato chi le passa vicino.

Ci sono esseri come Cloe, l’esoterica protagonista de “L’energia del padre”, il cui talento è amare oltre ogni ragione l’umanità e la vita, e questo senza essere una missionaria né una suora né…oops, un’infermiera sì, quello sì…ogni loro tocco, ogni loro cura è un’epifania di qualcosa che assomiglia all’idea di Dio, qualsiasi cosa questo significhi per chiunque legga, fosse anche agnostico, scettico o ateo.
Se ci limitassimo al catechismo ed alla stanca, opaca, sinistra rappresentazione secolare del Cattolicesimo – ciò in cui sono cresciuto - io sarei agnostico, scettico, ateo. Poi ho incontrato l’espressione artistica. Non ho bisogno di evocare la sindrome di Stendhal: non sono ancora svenuto davanti ad un’opera d’arte. Però il meccanismo è quello: un’opera d’arte ti porta da un’altra parte , e questa invece è una cosa che mi è accaduta spesso. Cosa sia e come si debba chiamare questo altrove, sono domande a risposta aperta; ma concentriamoci a sentire quanto profondo possa essere questo altrove in cui ci porta l’arte, sia essa musica, teatro, pittura, scultura, cinema, fotografia, scrittura.
Se in cuor tuo senti di poter diffondere anche solo un raggio di questa scintillante bellezza, fregatene delle agenzie di mediazione culturale. Se senti di saper scrivere, esercitati: leggi, leggi e vivi, vivi. E scrivi, e riscrivi, e riscrivi ancora, perché la prima cosa che ti viene in mente non è quasi mai quello che vorresti veramente dire.
Una nuova generazione di musicisti ha cominciato a fare a meno delle case discografiche, finchè le case discografiche non si sono accorte di loro. Una nuova generazione di scrittori sta cominciando a fare a meno delle case editrici, finchè le case editrici si accorgeranno che sono loro ad avere bisogno di scrittori, e non viceversa. Certo che nessuno scrittore può fare a meno di lettori, pochi o tanti che siano. Pochi o tanti, questa è l’unica cosa di cui non può fare a meno. Di tutto il resto può fare a meno.

Ti invito di seguito a leggere e commentare, qui e sul suo sito  http://www.scrittorevincente.com/, l’intervista che mi ha fatto Emanuele Properzi, un giovane scrittore che coltiva(anche)il talento di suggerire ad altri scrittori come trovare i propri lettori. E Funziona!