venerdì 23 marzo 2012

Articolo 18, io ti licenzio

Ero un garantito. Non precario, non a tempo determinato, non a progetto. Se mi licenziavano ingiustamente, potevo ricorrere al giudice. Se avevo ragione, potevo scegliere tra essere riassunto e farmi pagare molti soldi per starmene fuori.
Questo scandaloso privilegio del quale godevo è ora abolito. Finalmente anche io posso sentirmi in pericolo. Finalmente la mia condizione perde quell’assurda sicurezza di poter fare progetti. Finalmente io e mio figlio saremo uguali. Un patto tra le generazioni.  Giusto. Perché io devo sentirmi libero di assistere un genitore malato, di partorire due o tre figli, di difendere un’idea, di lottare per i miei colleghi senza rischiare il posto, quando mio figlio e la gente come lui non possono nemmeno pensare di fare tutte queste cose? Basta con  l’ingiustizia: da una parte un mondo di garantiti che hanno tutto, dall’altra parte un mondo di esclusi che non hanno niente.
E poi basta con questo attaccamento morboso al posto fisso. Nella vita bisogna cambiare. La nostra Azienda è tutto, è più importante della nostra famiglia, dobbiamo esserne innamorati. Però se ci caccia dobbiamo essere felici. Si chiude una porta, si apre un portone.


Giornalisti, economisti, opinionisti: avete ragione. Odiate il posto fisso, ma sono quarant’anni che leggo le vostre firme in calce agli articoli che scrivete, sempre in prima pagina, sempre in televisione, sempre. Ebbene: in nome del Nuovo Magnifico Mercato del Lavoro, io vi licenzio.   

mercoledì 7 marzo 2012

L'ENERGIA DEL PADRE

Se in cuor tuo ritieni di saper fare bene una cosa; se, aldilà di ogni ragionevole dubbio, aldilà dell’indifferenza generale, senti di avere un demone dentro che ti spinge a fare quella cosa, fosse anche pittare un cancello o assemblare ferrovecchio per trasformarli, entrambi, in qualcosa di nuovo e di diverso; se senti che quella è la cosa che sai fare veramente meglio di tutte, meglio degli altri;
Se hai questo, se senti questo, potresti essere un pazzoide egocentrico e delirante privo del senso della realtà(e fin qui non ci sarebbe niente di male) e del ridicolo(e questo sarebbe imperdonabile); oppure, più spesso, potresti avere un talento per quella cosa.
Penso che ognuno di noi abbia il suo talento. Penso che moltissimi non coltivino più, ad un certo punto della vita, il loro talento. Perché? Perché si arrendono: all’indifferenza, alle delusioni, alla stanchezza, all’abitudine. E lasciano che il loro fuoco si spenga. Muoiono prima degli altri, anche se gli capita di vivere a lungo.
Chi lascia morire il proprio talento commette un delitto. Un delitto contro sé stesso, perché lascia morire la parte più viva di sé, e un delitto contro gli altri, perché li priva della bellezza del talento, che illumina come un dono insperato chi le passa vicino.

Ci sono esseri come Cloe, l’esoterica protagonista de “L’energia del padre”, il cui talento è amare oltre ogni ragione l’umanità e la vita, e questo senza essere una missionaria né una suora né…oops, un’infermiera sì, quello sì…ogni loro tocco, ogni loro cura è un’epifania di qualcosa che assomiglia all’idea di Dio, qualsiasi cosa questo significhi per chiunque legga, fosse anche agnostico, scettico o ateo.
Se ci limitassimo al catechismo ed alla stanca, opaca, sinistra rappresentazione secolare del Cattolicesimo – ciò in cui sono cresciuto - io sarei agnostico, scettico, ateo. Poi ho incontrato l’espressione artistica. Non ho bisogno di evocare la sindrome di Stendhal: non sono ancora svenuto davanti ad un’opera d’arte. Però il meccanismo è quello: un’opera d’arte ti porta da un’altra parte , e questa invece è una cosa che mi è accaduta spesso. Cosa sia e come si debba chiamare questo altrove, sono domande a risposta aperta; ma concentriamoci a sentire quanto profondo possa essere questo altrove in cui ci porta l’arte, sia essa musica, teatro, pittura, scultura, cinema, fotografia, scrittura.
Se in cuor tuo senti di poter diffondere anche solo un raggio di questa scintillante bellezza, fregatene delle agenzie di mediazione culturale. Se senti di saper scrivere, esercitati: leggi, leggi e vivi, vivi. E scrivi, e riscrivi, e riscrivi ancora, perché la prima cosa che ti viene in mente non è quasi mai quello che vorresti veramente dire.
Una nuova generazione di musicisti ha cominciato a fare a meno delle case discografiche, finchè le case discografiche non si sono accorte di loro. Una nuova generazione di scrittori sta cominciando a fare a meno delle case editrici, finchè le case editrici si accorgeranno che sono loro ad avere bisogno di scrittori, e non viceversa. Certo che nessuno scrittore può fare a meno di lettori, pochi o tanti che siano. Pochi o tanti, questa è l’unica cosa di cui non può fare a meno. Di tutto il resto può fare a meno.

Ti invito di seguito a leggere e commentare, qui e sul suo sito  http://www.scrittorevincente.com/, l’intervista che mi ha fatto Emanuele Properzi, un giovane scrittore che coltiva(anche)il talento di suggerire ad altri scrittori come trovare i propri lettori. E Funziona!