Non fidatevi dei riassunti, né di quello che scrivo io.
Leggete l’accordo con i vostri occhi. Serve a capire tante cose. Ecco un link:
Letto? Bene. Ecco cosa ne penso io.
Prima di tutto, la lingua in cui è scritto. Una lingua
involuta, lecchina, con periodi lunghissimi pieni di rimandi oscuri, sinistri,
travestiti da “modernizzazione”. La sostanza è nascosta, con una certa
vigliaccheria, dietro questo burocratese ministeriale.
Il contratto nazionale non serve più. Cos’è tutto questo
egualitarismo, questa mania di voler
salvaguardare il potere di acquisto reale degli stipendi. Se lavori in un’azienda che produce
“produttività”, una parte consistente del tuo stipendio sarà tassata poco,
quindi il tuo netto in busta sarà più alto. Se la tua azienda non produce
valore aggiunto rispetto al lavoro impiegato, il tuo stipendio scivolerà verso il basso.
Alcune osservazioni. L’accordo è firmato tra le parti
sociali, non è cofirmato dal Governo. Quindi la detassazione del salario di
“produttività” di cui si parla è solo un auspicio, ma facciamo finta che il
Governo detassi il salario variabile. Di quanto lo detasserà, e con che limiti?
Quelli previsti dalla legge 247 del 2007, richiamata in questo accordo. La
detassazione potrà riguardare al massimo la retribuzione variabile che non
superi il 5% della retribuzione contrattuale. Il cinque per cento. Quindi, per
capirci: se anche la retribuzione variabile(incerta nel se e nel quanto)dovesse
essere pari al 30% dello stipendio, la detassazione potrà al massimo riguardare
il 5% sul totale dello stipendio percepito. E quali lavoratori sarebbero
beneficiari di questa elemosina (visto le percentuali, non mi viene da
chiamarla diversamente)? Attualmente circa il 30% dei lavoratori dipendenti:
infatti, solo 3 lavoratori su 10 ad oggi hanno il contratto integrativo, o
aziendale.
Ancora: nella attuale situazione di crisi profondissima,
quante sono, secondo voi, le aziende che potranno permettersi di erogare un
salario di produttività ai loro dipendenti? Risposta: siccome parliamo di costo
del lavoro per unità di prodotto, saranno quelle aziende che sostituiranno
personale con tecnologia. Cioè, quelle che licenzieranno(adesso licenziare è
diventato un puro costo d’azienda, grazie alla dinamica ministra Fornero). Aggiungiamoci
l’apertura sui controlli a distanza della privacy di chi lavora e
abbiamo il quadro di un accordo che non mi stupisce Confindustria abbia firmato
volentieri. Quello che mi stupisce è che abbia trovato una controparte
sindacale che lo firmasse. Invece ha trovato tutti d’accordo, eccetto la CGIL –
peraltro, quella che ha più iscritti. La quale CGIL ha fatto un’osservazione
elementare: se, in nome della crisi, dobbiamo accettare questo smottamento,
questa frana dei diritti, che almeno il Governo, per dimostrare la reale
volontà di fare quanto auspicato (dagli altri), detassi le tredicesime in
arrivo, lasci qualche decina di euro in più nelle tasche della gente. Risposta:
non se ne parla nemmeno.
Riassumendo: si accetta di abolire nella sostanza la tenuta
del potere d’acquisto degli stipendi trasformando una buona parte del salario
in variabile dipendente dalla “produttività” in Azienda; come arrivarci, a
questa produttività – impresa quantomeno da lacrime e sangue in un periodo di
crisi come l’attuale – lo decide il padrone. Si instaura così una fantastica
forma di neo-cogestione all’italiana: il lavoratore non decide nulla, ma se il
padrone prestigiatore riesce a far
saltar fuori un premio arriverà forse allo stipendio di prima(se non è stato
licenziato); se la magia non riesce cazzi suoi, prenderà meno soldi di adesso.
Dentro l’accordo si ciancia di “valorizzare la
contrattazione di secondo livello”. Ecco, visto che la contrattazione di primo
livello diventa superflua, facciamo diventare superflue quelle segreterie
nazionali lì, che di solito siedono al tavolo dei contratti nazionali. Perché
così tante persone continuino a mantenere con una quota del proprio stipendio
oligarchie che, approfittando della
libertà di mandato, svendono i loro diritti, resta per me un mistero.
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