Vorrei parlare, a esperimento
concluso, dell’ Officina delle Parole - il laboratorio attraverso cui ho avuto il
privilegio di lavorare sulle parole
insieme a delle splendide persone.
Se leggevo in giro di qualche
scrittore che organizzava un seminario per insegnare ad altri le tecniche della
scrittura, me ne stavo alla larga. Ho
sempre diffidato di chi pretende di farti diventare quello che non sei, o
quello che sei già senza bisogno di lui.
Poi una persona mi ha messo una pulce nell’orecchio: guarda che nei
laboratori non si creano degli scultori
o dei pittori, ma degli artigiani. E poi, se tu non ti vedi come apprendista
della parola non significa che altri non vogliano esserlo.
E’ stato questo linguaggio
artigianale a convincermi, e abbiamo organizzato un Laboratorio sull’uso delle
parole. La scuola trasmette l’idea di una distanza accademica tra chi insegna e
chi apprende. Il laboratorio è un luogo nel quale tutti gli apprendisti si
cimentano con la stessa materia, compreso il “mastro artigiano”: che non si
limita a indicarti come si deve fare una cosa e valuta i tuoi progressi , ma si
cimenta nella tua stessa prova e con il tuo stesso tempo a disposizione, e
mette in comune a tutti il risultato del suo tentativo. Mostra, più che
spiegare.
Il linguaggio è materia insidiosa,
perché alla portata di tutti. Non tutti dipingono, scolpiscono o suonano uno
strumento musicale. Invece, tutti parliamo e soprattutto tutti scriviamo. Provate a pensare un attimo
a quanto tempo della nostra giornata usiamo scrivendo sms, tweetando, dialogando su facebook,
usando what’s app. La lingua con la
quale comunichiamo viene forgiata, modificata e trasformata da ognuno di noi
giorno dopo giorno. Io non sono un purista, non ho puzza sotto il naso. Non
penso che la lingua stia peggiorando per forza, e sono anzi favorevole
all’effetto positivo che le contaminazioni sempre depositano sulle forme della
cultura diffusa. Si deposita anche tanto materiale di scarto, tanta roba che
merita di essere elaborata, riconosciuta ed eliminata, ma dopo averla metabolizzata, non prima.
La nostra Officina ha
metabolizzato tanta roba. Ogni apprendista ha portato il suo materiale grezzo,
in taluni casi magmatico, in altri disordinato e vulcanico, oppure dotato di
un’intrinseca eleganza quasi involontaria. Abbiamo cercato di ricondurre le
variegate modalità espressive al rispetto di alcuni principi comuni, ma senza
intaccare lo stile personale di ognuno di noi: anzi, il lavoro che abbiamo
cercato di fare nei nostri nove incontri è stato precisamente quello di fare
emergere il nostro stile, a volte nascosto dietro fronde di parole istintive,
imprecise.
La nostra bussola è stata la
ricerca dell’ accuratezza. Scrivere
era vissuto da molti come un esercizio istintivo, una sorta di polaroid dei
propri stati d’animo. E’ stato proprio richiamandomi alla passione di alcuni
apprendisti scrittori per la fotografia, che ho cercato di trasmettere il
concetto per cui lavorare sul materiale grezzo, definire i dettagli, elaborare
attraverso stadi successivi le immagini era la maniera migliore per centrare
l’obiettivo di comunicare quell’idea, quel sentimento – esattamente quello che
un paio di questi brillanti fotografi fanno con le loro foto: affreschi di
semplicità ottenuta attraverso un gran lavoro di inquadrature, di filtri, di
“trucchi”.
Come accade quando le cose
vengono bene, ho ricevuto molto più di quello che ho dato. Non parlo solo del
patrimonio di umanità ed emozioni, impagabile. Parlo anche dell’aspetto
tecnico: tutto il lavoro di limatura e la serie di suggerimenti che mi sono permesso
di inserire, come un flusso, anche tra un incontro e l’altro mi saranno utili
per quello che riuscirò a scrivere in futuro. Non so se saranno utili anche ai miei compagni di strada, a me di sicuro. E chissà che un distillato di
questo magnifico laboratorio di inizio estate non possa trovare la propria
confezione autunnale: artigianale, naturalmente…